La Corte di Cassazione, torna sul delicato tema dell'inadempimento dell'obbligo informativo gravante sull'intermediario finanziario nei contratti relativi a servizi di investimento, giungendo ad affermare la sussistenza di una vera e propria presunzione del nesso di causalità tra violazione dell'obbligo informativo da parte dell'intermediario finanziario e il pregiudizio patrimoniale subito dall'investitore.
A dire dei Giudici: "… al riscontro dell'inadempimento degli obblighi di corretta informazione consegue l'accertamento in via presuntiva del nesso di causalità tra il detto inadempimento e il danno patito dall'investitore".
Tale conclusione, che di fatto si pone in continuità con l'evoluzione della giurisprudenza di legittimità, troverebbe la propria ragion d'essere nel complessivo quadro normativo in materia e, in particolare, come chiarito dalla stessa Suprema Corte con l'ordinanza in commento, nella "… funzione assegnata dal sistema normativo all'obbligo informativo gravante sull'intermediario che è preordinato al riequilibrio dell'asimmetria strutturale del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell'investitore, al fine di consentirgli una scelta di investimento realmente consapevole".
Ciò significa che, una diversa interpretazione delle norme in materia, condurrebbe a ignorare la funzione specifica dell'obbligo posto a carico dell'intermediario, che è proprio quella di colmare l'asimmetria informativa tra il cliente e l'intermediario.
La Cassazione ha poi rilevato che l'intermediario può superare tale presunzione, fornendo la prova che il pregiudizio si sarebbe comunque concretizzato, anche nell'ipotesi in cui l'investitore avesse ricevuto le informazioni omesse.
Particolarmente rilevante è la circostanza che la Corte abbia ritenuto di precisare che tale prova "non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell'investitore", desunta da scelte pregresse ribadendo - anche in questo caso - quanto affermato dalla più recente giurisprudenza (cfr. Cassazione, ordinanza 11549/2020 e n. 7288/2023) che impone una verifica più rigorosa, sul presupposto che, anche l'investitore più esperto e con "propensione a rischio alta", deve poter selezionare - sulla base delle informazioni fornite dall'intermediario - tra i vari investimenti offerti dal mercato, valutando, tra quelli rischiosi, gli investimenti che garantiscono una maggiore probabilità di successo.
Affermati tali principi, la Suprema Corte - con l'ordinanza in commento - ha accolto il ricorso dell'investitore, statuendo che la banca non era stata in grado di dimostrare in giudizio il superamento della presunzione del nesso causale, mostrando così di non condividere l'impostazione dei giudici di appello che, pur riconoscendo l'inadempimento degli obblighi informativi da parte dell'intermediario, lo aveva ritenuto irrilevante e privo di conseguenze sul presupposto che si trattasse di un cliente incline agli investimenti ad alto rischio: valutazione che - peraltro - si riferiva ad un periodo successivo alla data in cui era stato effettuato l'investimento.
Prende, quindi, sempre più forza il principio per cui l'intermediario finanziario è tenuto a prestare una consulenza personalizzata, tale da consentire all'investitore di conseguire una conoscenza concreta ed effettiva del prodotto finanziario proposto, affinché il suo consenso sia pienamente consapevole, come del resto previsto dall'art. 31 del Regolamento Consob 16190/2007; ne consegue che l'intermediario finanziario sarà responsabile per avere omesso di avvertire, in modo specifico, l'investitore circa i rischi dell'operazione prospettata.
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