È questo il principio di diritto recentemente espresso da una pronuncia della Cassazione (ordinanza n. 27331 del 26 settembre 2023). La questione trae origine dal caso di un lavoratore che aveva proposto un’azione volta a contestare le proprie dimissioni volontarie e ad accertare, invece, l’esistenza di un provvedimento espulsivo da parte del datore di lavoro.
In primo grado e poi in appello il lavoratore vedeva respinte le proprie pretese sul presupposto per cui in materia di onere della prova (ex art. 2697 c.c.), laddove, a fronte della risoluzione del rapporto di lavoro senza forma scritta, si controverta sulla riconducibilità della cessazione del rapporto al lavoratore piuttosto che al datore di lavoro, è il lavoratore che agisce a dover fornire la prova dell’esistenza di un provvedimento espulsivo. Una siffatta prova non era stata fornita dal ricorrente e, pertanto, doveva ritenersi accertata l’esistenza delle dimissioni volontarie. Il lavoratore promuoveva ricorso per Cassazione sostenendo che la Corte d’Appello aveva erroneamente trascurato come la fattispecie si fosse verificata nel 2018 e dunque nel periodo di vigenza dell’art. 26 del D.Lgs. 151/2015. Tale norma prevede che “le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali … e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente con le modalità individuate con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”. Le dimissioni del lavoratore, in assenza della procedura telematica, erano dunque inefficaci. Del medesimo avviso anche la Suprema Corte che ha cassato con rinvio la pronuncia della Corte territoriale rilevando come i giudici del merito avessero applicato principi giurisprudenziali validi in ipotesi diverse e non sovrapponibili a quella di specie proprio perché sottratte, ratione temporis, all’applicazione dell’art. 26. La normativa del 2015, prosegue la Corte non è intervenuta ad alterare la natura dell’atto di dimissioni come negozio unilaterale recettizio “ma richiede – ai fini dell’efficacia dell’atto – il rispetto di determinate forme (di natura telematica), salvo che le dimissioni (e la risoluzione consensuale) intervengano in sede assistita o avanti alla Commissione di certificazione”. L’obiettivo della modifica legislativa risiede, da un lato, nell’esigenza di arginare il fenomeno delle c.d. dimissioni in bianco conferendo all’atto di recesso una data certa; dall’altro, di garantire che la volontà del dipendente di risolvere il contratto di lavoro si sia formata e sia stata espressa liberamente e genuinamente.
La Cassazione ha quindi ribadito la piena operatività ed efficacia delle dimissioni solo se esperite attraverso la procedura telematica senza ammettere eccezioni a tale regola.
Ci si domanda però se una diversa valutazione non possa invece essere ammessa in tutti quei casi in cui il lavoratore – pur non osservando la procedura telematica – tenga una condotta palesemente idonea a manifestare la volontà di non proseguire il rapporto assentandosi dal lavoro per diverso tempo senza dare alcuna notizia di sé. In un caso siffatto il datore di lavoro si trova nella difficile condizione di dover scegliere se licenziare il lavoratore per assenza ingiustificata – sopportando i costi oltre che il rischio di un’impugnazione del recesso – o attendere sine die che il lavoratore decida di dimettersi. Invero, nel 2022 il caso è stato affrontato dalla giurisprudenza di merito del Tribunale di Udine che, con una pronuncia rimasta isolata (sentenza n. 20 del 27 maggio 2022), ha inteso qualificare come risoluzione per fatti concludenti la reiterata ed intenzionale assenza di un dipendente finalizzata al solo scopo di essere licenziato. Oggi la questione è al vaglio del legislatore: il Governo ha infatti presentato alle Camere un Disegno di Legge che interviene a modificare proprio l’art. 26 del D.lgs. 151/2015. La proposta prevede che in caso di assenza ingiustificata di un lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato o, in mancanza di previsione contrattuale, oltre cinque giorni, il rapporto debba intendersi risolto per volontà del lavoratore senza che trovi applicazione la procedura telematica. Tale novità, ad avviso di chi scrive, deve essere accolta con favore perché interverrebbe ad arginare l’ormai sempre più diffuso fenomeno delle assenze preordinate al fine di ottenere il licenziamento ed accedere al trattamento di disoccupazione. Allo stato, non resta dunque che attendere l’evoluzione e la conclusione dell’iter legislativo.
dimissioni volontarie