12/11/2024


Sulla base dei principi affermati dalla Corte Costituzionale sin dal 1966, la decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi nell’ambito dei rapporti di lavoro è strettamente connessa alla tutela che l’ordinamento prevede in favore dei lavoratori in caso di licenziamento illegittimo. Se esaminiamo lo stato attuale della normativa che regola i licenziamenti e ciò che resta dei tentativi legislativi di ridurre le ipotesi di riconoscimento in favore del lavoratore della tutela reintegratoria, sorge spontaneo domandarsi se possa ritenersi ancora giustificato far decorrere la prescrizione dalla cessazione del rapporto, secondo il consolidato orientamento formatosi nella giurisprudenza in materia. In proposito, fino all’entrata in vigore della Legge n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero), il regime della prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori si diversificava a seconda della tutela di cui potevano fruire i lavoratori creditori. In estrema sintesi, per tutti coloro a cui non si applicava l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori la prescrizione decorreva a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro in considerazione della pressione psicologica patita dal lavoratore, idonea a scoraggiare il lavoratore dal far valere le proprie pretese nei confronti del datore di lavoro. Per i lavoratori a cui si applicava, invece, l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, la prescrizione decorreva anche in costanza di rapporto. Come è noto, l’attenuazione della tutela reintegratoria conseguente alle modifiche apportate all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori dalla Riforma Fornero ha indotto la giurisprudenza a ritenere che il carattere eccezionale dei casi in cui il lavoratore potesse essere reintegrato nel posto di lavoro ai sensi del modificato art. 18 della Legge n. 300/1970 dovesse comportare la decorrenza della prescrizione dal momento della cessazione del rapporto di lavoro per tutti i lavoratori, superando ogni distinzione tra dipendenti tutelati dall’art. 18 e gli altri dipendenti. La motivazione di tale orientamento giurisprudenziale era rappresentata proprio dal venire meno della tutela reintegratoria quale tutela “ordinaria” generalizzata per i lavoratori ed era stata ribadita anche dopo la Riforma del Jobs Act, posto che la disciplina del contratto a tutele crescenti introdotta dal D.Lgs. 23/2015 aveva confermato la tendenza a prevedere una tutela prevalentemente “obbligatoria” (indennitaria) contro i licenziamenti illegittimi. Gli effetti di tale orientamento sulla decorrenza della prescrizione espongono tuttora le aziende al rischio di rivendicazioni retributive relative ad anni anche molto risalenti, nei confronti delle quali non è sempre agevole potersi difendere anche nei casi di crediti di dubbia fondatezza, attesa la difficoltà di reperire informazioni e documenti a distanza di molti anni dai periodi a cui le pretese dei lavoratori si riferiscono. La situazione, tuttavia, è profondamente mutata negli ultimi anni a seguito dei ripetuti interventi giurisprudenziali che hanno progressivamente smantellato l’impianto delineato dalla Riforma Fornero e dal Jobs Act. Ci riferiamo in particolare alle sentenze della Corte Costituzionale n. 59/2021 (che ha escluso ogni potere discrezionale in capo al giudice in ordine alla possibilità di reintegra del lavoratore prevista dall’art. 18, comma 7, in caso di insussistenza manifesta del fatto posto a base del licenziamento) e n. 125/2022 (che ha esteso la tutela reintegratoria in tutti i casi di insussistenza del fatto posta a base del licenziamento per motivo oggettivo, anche non “manifesta”), all’orientamento consolidato della Corte di Cassazione secondo il quale anche la mera violazione dell’obbligo di repechage determina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nonché alle recenti sentenze della Corte Costituzionale n. 22/2024 (che ha esteso la tutela reintegratoria ex art. 2 del D.Lgs. 23/2015 a tutti i casi di nullità anche non “espressamente” previsti dalla legge), n. 128/2024 (che ha esteso la tutela reintegratoria ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo fondati su un fatto materiale rivelatosi poi insussistente) e n. 129/2024 (che ha ritenuto applicabile la tutela reintegratoria per i contratti a tutele crescenti anche ai licenziamenti disciplinari per fatti punibili con una sanzione conservativa ai sensi della contrattazione collettiva applicabile al rapporto di lavoro). Se consideriamo l’attuale quadro normativo e giurisprudenziale, è allora lecito dubitare del fatto che la reintegrazione nel posto di lavoro rappresenti, oggi, un’ipotesi residuale di tutela, mentre sono da reputarsi, invece, limitati i casi di applicazione della tutela meramente obbligatoria o indennitaria. Tocca alla giurisprudenza, a questo punto, rivedere il proprio orientamento, non essendo più giustificabile non fare decorrere la prescrizione in costanza di rapporto per lavoratori effettivamente assistiti dalla tutela reale.


prescrizione crediti

← Torna alle Novità